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Eugenio Montale (1896-1981) è, insieme a Ungaretti, il poeta più importante del Novecento italiano. Nasce a Genova nel 1896 da una famiglia borghese, ultimo di cinque figli, e trascorre la fanciullezza tra Genova e Monterosso, nelle Cinque Terre. Viene avviato agli studi di ragioneria, ma si appassiona soprattutto ai libri di poesia e di narrativa suggeritigli dalla sorella Marianna. Prende anche lezioni di canto e la musica resterà sempre una delle sue passioni predilette tanto che, negli anni della maturità, collaborerà come critico musicale ad alcuni importanti quotidiani. Partecipa alla Prima guerra mondiale non per sua scelta, ma perché richiamato al fronte e arruolato. Finita la guerra, viene congedato nel 1919, torna a Genova e riprende la sua attività letteraria. Conosce il poeta Camillo Sbarbaro e Piero Gobetti, uomo di cultura e prestigioso esponente dell’antifascismo. Nel 1925 pubblica la sua prima raccolta di versi, Ossi di seppia, che viene curata da Gobetti. Nel 1927 si trasferisce a Firenze dove ottiene il posto di direttore del «Gabinetto Vieusseux», prestigioso centro culturale della città. Nel 1938 però è costretto a dimettersi dall’incarico perché si rifiuta di prendere la tessera del partito fascista. Frequenta importanti uomini di cultura: Salvatore Quasimodo, Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini, con i quali si incontra spesso al caffè Giubbe Rosse. In questo periodo conosce Drusilla Tanzi la sua futura moglie, cantata in Satura con il nome di Mosca per via degli spessi e grandi occhiali che era costretta a portare a causa di una forte miopia. Nel 1939 pubblica il secondo libro di poesie, Le occasioni. Dopo la Seconda guerra mondiale si trasferisce a Milano e si dedica stabilmente all’attività di giornalista presso il «Corriere della Sera». Appartiene a questo periodo la terza raccolta, La bufera e altro, pubblicata nel 1956, alla quale segue un lungo periodo di silenzio poetico. Riprende a scrivere a partire dal 1971. Appartengono a questa nuova e ricca stagione poetica le raccolte Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderni dei quattro anni e Altri versi, opere nelle quali, con toni ironici e disincantati e con un linguaggio volutamente basso e prosastico, offre un’immagine fortemente negativa della società del tempo. Nominato nel 1967 Senatore a vita per i suoi meriti letterari, nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano nel 1981.
Ossi di seppia è la prima raccolta di Montale. Fu pubblicata nel 1925 quando, nonostante l’azione di rottura dei movimenti d’avanguardia, primo fra tutti il Futurismo, era ancora in auge la poesia dannunziana con il suo linguaggio ricercato e sonoro.Il titolo ha un duplice significato: allude allo stile asciutto ed essenziale adottato dal poeta e al tempo stesso comunica un’idea di morte e inaridimento. L’osso di seppia è infatti la cartilagine della seppia, che risulta visibile solo una volta che l’animale si è decomposto. L’immagine quindi fa pensare a detriti sballottati dalle onde, a oggetti prosciugati, disidratati, che il mare ha espulso da sé e abbandonato sulla spiaggia.A livello espressivo Montale punta a un’estrema precisione dei termini, riducendoli all’osso anche a costo di annullarne ogni musicalità e gradevolezza e utilizza la tecnica del “correlativo oggettivo” ripresa dal poeta inglese Thomas Stearns Eliot, che consiste nel rappresentare un’idea attraverso un’immagine concreta. Sul piano metrico Montale rifiuta la totale libertà espressiva seguita dal primo Ungaretti e utilizza il verso tradizionale, evitando però ogni forma di sonorità e conferendo ai suoi componimenti un andamento prosastico e colloquiale.I temi ricorrenti nella raccolta sono il “male di vivere”, l’impossibilità di comprendere il senso delle cose, l’incomunicabilità tra gli uomini, che Montale esprime attraverso immagini concrete e quotidiane: il muro con in cima cocci aguzzi di bottiglia, la catena che imprigiona, la rete. Egli però crede anche nella possibilità di un “miracolo”, di una via di fuga che lasci intravedere all’uomo, anche solo per un attimo, il senso delle cose e della vita. “Correlativi oggettivi” del miracolo sono la maglia rotta della rete, il filo da disbrogliare, l’anello che non tiene, il giallo dei limoni che si intravede da un cancello malchiuso, il mare simbolo di vitalità, ma anche di irrazionalità, a cui egli contrappone la terra, che rappresenta la responsabilità e la ragione, e l’agave che si abbarbica allo scoglio e resiste alle tempeste.
Le occasioni è la seconda raccolta di versi di Montale, pubblicata nel 1939; l’opera comprende circa 50 componimenti suddivisi in 5 sezioni. Le liriche sono più intime rispetto ai temi della prima raccolta, perché sono strettamente legate alle esperienze private del poeta e sono infatti in parte autobiografiche.Il titolo allude da un lato all’occasione dalla quale ogni lirica è scaturita, dall’altro alle occasioni della vita che il poeta tenta inutilmente di recuperare per mezzo della memoria. Lo scorrere del tempo è al centro della narrazione: ogni elemento cantato rievoca un’emozione, perché è legato a un evento del quale suscita il ricordo e il sentimento. Accanto al tema del ricordo vi è la presenza di figure femminili apparentemente fragili, in realtà capaci di resistere agli sconvolgimenti della storia e della società grazie a un piccolo amuleto a cui affidano la propria salvezza. Un posto centrale occupa figura angelica di Clizia, che rappresenta la sacralità della cultura e della parola poetica.Sul piano espressivo Montale tende nelle Occasioni a una lirica più musicale e densa di significati simbolici.
La bufera e altro viene pubblicato nel 1956 e raccoglie le poesie scritte durante la Seconda guerra mondiale, anni che Montale ha vissuto in parte a Firenze e in parte a Lugano. Il titolo si riferisce chiaramente all’evento bellico e gli orrori della guerra tornano ad essere protagonisti, almeno delle prime sezioni, facendo ripiombare il poeta in un clima di cupo pessimismo, come nelle poesie di gioventù. Non c’è speranza per l’uomo, le leggi che regolano la natura umana sembrano non dare scampo. La donna, ancora presente, è in queste liriche una figura più consolatoria che in precedenza, come se con essa si potesse sperare almeno in uno spiraglio di salvezza.
Satura, raccolta pubblicata nel 1971, segna una svolta rispetto alle opere precedenti. Montale utilizza toni volutamente dimessi e un linguaggio quasi prosastico nel quale affiora spesso l’ironia nei confronti della moderna società del benessere trascinata nella spirale dei consumi, soffocata da oggetti inutili, frastornata da una quantità enorme di messaggi senza senso. Il titolo, di origine latina, allude alla varietà dei componimenti riuniti nell’omonima sezione della raccolta e all’ironia che li percorre. L’espressione lanx satura indicava infatti nel mondo latino un piatto contenente diverse primizie che veniva offerto in dono agli dèi. Il tono cambia nella sezione Xenia, dedicata alla malinconica e dolce rievocazione della moglie del poeta, Drusilla Tanzi, chiamata affettuosamente “mosca” dal marito e dagli amici, morta nel 1963. La donna viene fissata in semplici episodi della vita quotidiana, nelle piccole avventure di un’esistenza normale e senza pretese che lei ha saputo vivere con dignità e con ironica saggezza. Questo piccolo canzoniere, che nella sua semplicità costituisce uno degli esiti più alti della poesia montaliana, è appunto il dono che il poeta fa alla moglie nel momento della sua partenza senza ritorno.I temi e lo stile di Satura ritornano anche nelle altre raccolte dell’ultimo periodo.
Una foto del poeta, Eugenio Montale.
La copertina di una delle edizioni di Ossi di seppia.
La copertina di una delle edizioni di Le occasioni.
La copertina di una delle edizioni di La bufera e altro.
la copertina di una delle edizioni di Satura.