Arte Concreta, Cinetica, Programmata e Optical. La lezione digitale

Dalla metà degli anni Cinquanta si fanno strada nel mondo dell’arte movimenti alternativi che, pur diversi per poetica e risultati, sono accomunate dall’intento di recuperare le molteplici eredità delle Avanguardie storiche, portandone a uno stadio più analitico e radicale le tecniche, le intuizioni e le premesse. Dal Futurismo e dall’Astrattismo geometrico russo, da De Stijl e dal Bauhaus deriva il troncone dell’Arte Concreta, Cinetica, Programmata e Optical.

Chiarirsi le idee. Un panorama variegato

Nel 1930, a proposito dell’Astrattismo geometrico Theo van Doesburg parla di Arte Concreta: un’arte che produce forme in sé, frutto solo dell’elaborazione del pensiero.

Numerosi artisti, già negli anni Trenta e Quaranta, ma soprattutto tra gli anni Cinquanta e Settanta, partecipano a questa tendenza, avvalendosi anche degli studi della psicologia della forma (o Gestalt):

  • Victor Vasarely, che si dedica allo studio delle reazioni percettive prodotte da forme geometriche descritte con colori piatti e brillanti;
  • Max Bill, che tiene un approccio logico e matematico alla pittura e alla scultura;
  • Barbara Hepworth, la quale produce sculture astratte introducendo cavità e buchi nelle masse.

In Italia, i centri più significativi dell’Arte Concreta si situano nel Nord del Paese; in particolare, tra le due Guerre Como diventa un centro di collegamento con la cultura visiva europea: qui operarono Mario Radice e Manlio Rho. Nel 1948 nasce il MAC – Movimento dell’Arte Concreta, che accoglie le premesse teoriche di Van Doesburg. Enrico Castellani, invece, rivolge il proprio interesse alla movimentazione della tela, trasformandola in rilievo tridimensionale.

Negli anni Cinquanta riemerge poi con grande forza il tema del movimento, con opere che si muovono, impongono il movimento allo spettatore o sfruttano il movimento dei suoi occhi se non

dell’intero corpo.

 
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Dentro l'opera. Enrico Castellani, Superficie

Conservata presso le Gallerie d’Italia a Milano, l’opera Superficie di Enrico Castellani rappresenta uno degli esempi più significativi della ricerca artistica dell’autore, concentrata sull’esplorazione della superficie come elemento fondamentale dell’opera d’arte. La tela presenta rigonfiamenti regolari e ripetitivi, che creano un effetto tridimensionale, rompendo la tradizionale bidimensionalità di questo supporto e creando effetti di luce e ombra che cambiano a seconda dell’illuminazione e della posizione di chi guarda. Superficie genera un’interazione dinamica tra l’opera e lo spettatore, che può percepire una sensazione di movimento e profondità, nonostante la natura statica della tela.
 
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