Dal Novecento agli anni Duemila. La lezione digitale

Dagli anni Ottanta agli anni Duemila, l’arte si muove in un panorama complesso, caratterizzato dalla fine delle grandi narrazioni utopistiche del Novecento. Si afferma una pluralità di linguaggi che non si raccolgono più in movimenti strutturati, ma in poetiche personali, spesso disilluse e frammentarie. Le opere si confrontano con temi nuovi: la crisi dell’identità, il trauma storico, la marginalità sociale, la corporeità trasformata dalla scienza, il digitale, la rete e la relazione. La scultura, la fotografia, la videoarte, la performance e le installazioni diventano strumenti per esplorare la fragilità dell’individuo, la memoria collettiva e le contraddizioni della società contemporanea. Emergono protagonisti eterogenei, spesso legati a esperienze personali o culturali non eurocentriche, e si assiste a una nuova valorizzazione di voci femminili e postcoloniali, precedentemente marginalizzate. L’arte diventa così campo di riflessione critica e politica, in grado di interrogare la realtà nella sua dimensione umana e globale.

Chiarirsi le idee. Il passaggio al nuovo Millennio

Negli anni Ottanta, gli artisti europei (in particolare tedeschi) abbandonano le utopie delle avanguardie per esprimere un senso diffuso di perdita e disorientamento. Le opere di Thomas Schütte, Katharina Fritsch, Rosemarie Trockel raccontano l’inquietudine personale e collettiva, il controllo sociale, la memoria dei conflitti e delle esclusioni. Oggetti e corpi vengono trasformati in metafore esistenziali, cariche di ambiguità, lutto, ironia.

In questo stesso periodo, la fotografia conquista un ruolo centrale nelle arti visive, grazie a innovazioni tecniche e all’ampliamento dei formati. Emerge un’intera generazione di autori tedeschi (Ruff, Struth, Höfer, Gursky) attenti alla registrazione fredda e analitica del reale. In America, Cindy Sherman e Nan Goldin esplorano identità, finzione, autobiografia e marginalità con approcci radicalmente diversi. La fotografia diventa strumento di narrazione soggettiva, sociale e concettuale.

Con l’affermazione della biotecnologia e del pensiero femminista, il corpo diventa il centro dell’arte contemporanea. Artisti come Mike Kelley, Charles Ray, Paul McCarthy, ORLAN e Marlène Dumas riflettono sulla fragilità del corpo biologico, sull’identità di genere, sull’interazione con la tecnologia e sull’estetica della mutazione. Nasce la tendenza Post Human, che porta in scena un corpo inquieto, esposto, trasformabile, spesso disturbante.

Alle porte del nuovo Millennio, la tecnologia digitale apre nuove possibilità espressive. La videoarte si afferma con artisti come Bill Viola, Gary Hill, Studio Azzurro, Pipilotti Rist, capaci di creare installazioni immersive, interattive, simboliche. Il rapporto tra arte e rete evolve in forme sempre più fluide, tra net art, realtà aumentata e contaminazioni multimediali.

Negli anni Duemila si sviluppano pratiche artistiche che mettono al centro l’interazione tra artista e pubblico: nasce il concetto di estetica relazionale (Bourriaud). Artisti come Félix González-Torres, Tiravanija, Cattelan, Eliasson creano installazioni o azioni in cui il significato si costruisce attraverso la partecipazione collettiva, superando la distinzione tra autore e spettatore.

L’arte postcoloniale affronta le eredità della storia e le tensioni razziali. Artisti come Theaster Gates, Kara Walker, Yinka Shonibare, Shirin Neshat, Wael Shawki recuperano memorie negate, denunciano le disuguaglianze, rielaborano visivamente identità ibride e conflittuali. L’arte diventa strumento di riscrittura e riscatto culturale.

Il XXI secolo porta inoltre con sé la riscoperta di molte artiste dimenticate, come Hilma af Klint, Anni Albers, Claude Cahun, Louise Bourgeois. Le loro opere, spesso in anticipo sui tempi, pongono il femminile al centro della riflessione artistica. L'arte delle donne non è più confinata al ruolo di musa o decoratrice, ma riconosciuta come fonte autonoma di innovazione e complessità.

 

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Dentro l'opera. Riscoperte del femminile: Hilma af Klint

Per secoli, la storia dell’arte è stata narrata quasi esclusivamente al maschile: nomi, volti, opere e teorie sono stati tramandati e celebrati con una netta predominanza di autori uomini. Le donne, pur presenti, sono rimaste spesso ai margini: ritratte, desiderate, idealizzate o spiritualizzate, ma raramente riconosciute come creatrici e protagoniste. Le ragioni sono storiche e sociali: l’accesso negato alla formazione, le barriere culturali, le convenzioni di genere hanno fatto sì che il contributo femminile venisse oscurato, dimenticato o ignorato.

Nel XXI secolo, questa narrazione comincia finalmente a cambiare. Musei, critici, storici e pubblico iniziano a interrogarsi su quante voci siano state escluse dal racconto ufficiale dell’arte, e in particolare su quanto l’universo femminile abbia dato, e non visto riconosciuto, alla creatività visiva. In questo contesto di riscrittura e riscatto, la figura di Hilma af Klint emerge come simbolo potente e poetico della riscoperta del femminile.

Hilma af Klint, pittrice svedese vissuta tra il 1862 e il 1944, è stata per lungo tempo completamente ignorata. Eppure, già alla fine dell’Ottocento, Hilma elaborava un linguaggio astratto radicale e visionario, anticipando di anni i padri ufficiali dell’astrattismo come Kandinskij, Mondrian o Malevič. Le sue opere erano il frutto di una ricerca profonda, spirituale, simbolica, in cui l’arte diventava strumento di connessione tra visibile e invisibile, tra materia e spirito.

Ma Hilma non cercò mai fama né riconoscimento. Anzi, scelse consapevolmente di nascondere i suoi lavori astratti, chiedendo nel testamento che non fossero mostrati al pubblico prima di vent’anni dopo la sua morte. 

La riscoperta di Hilma nel 1986 ha avuto un impatto enorme. Da allora, le sue mostre hanno attirato centinaia di migliaia di visitatori. Ma soprattutto, Hilma è diventata il volto di una domanda più grande: quante altre donne, nel corso della storia, hanno creato opere straordinarie senza lasciare traccia? Quanti talenti sono rimasti nascosti non per mancanza di valore, ma per mancanza di possibilità?

 

Ascolta il podcast Ti racconto l'arte - Hilma af Klint per riscoprire quest'artista, poi svolgi le attività proposte.
 Durata dell'attività: 20 minuti
 

 

 

Attività di scrittura creativa. Diario a due voci: Hilma e il suo tempo

Dopo aver ascoltato la storia di Hilma af Klint, cerca in Rete immagini o video di sue opere e mostre. Quindi scrivi due brevi testi (max 20 righe ciascuno):

  • una lettera immaginaria scritta da Hilma af Klint nel 1905 in cui spiega a un’amica perché tiene segrete le sue opere astratte;
  • un messaggio scritto da te, immaginando di aver appena visitato una mostra di Hilma: cosa ti ha trasmesso la sua arte?

©Atlas 2025 | Materiali e attività a cura di Martina Degl'Innocenti e Giulia Baccanelli. Contenuti didattici abbinati ai corsi Il segno dell'arte e Il segno dell'arte Edizione Smart.

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